Quando guarderai indietro gli anni e vedrai quel che potevi essere, cosa sarebbe potuto esserci, se solo avessi avuto più tempo

di | 28 Luglio 2018

Non avevo mai assistito, prima di Marchionne, a un requiem celebrato a una persona ancora viva. E nemmeno, se posso aggiungere, un requiem così lungo: si vede che il personaggio, da qualsiasi parte lo si voglia guardare, era dotato di peculiarità davvero notevoli.

Io non possiedo alcuna competenza specifica per valutare il manager, per comprendere fino in fondo la portata delle sue strategie e delle sue azioni. Posso solo immaginare (e comprendere, ci mancherebbe altro) che, chiamato a rimettere in piedi un’azienda sull’orlo del fallimento, abbia lavorato unicamente per il vantaggio dell’azienda stessa e non per riportare giustizia ed equità nel mondo complesso dell’industria automobilistica mondiale.

E non ho abbastanza elementi nemmeno per dire la mia sul carattere di un uomo del quale si è detto di tutto, nel bene e nel male: dall’uscita in lacrime di manager attempati dal suo studio all’assunzione di 2000 operai a Pomigliano d’Arco, nessuno dei quali aveva la tessera della FIOM perché altrimenti non sarebbero mai stati assunti. Non so nemmeno se sia autentica la leggenda che narra le disavventure di chi, in quello stabilimento, non riusciva a reggere i ritmi della produzione e veniva costretto a umiliarsi davanti a tutti nel cosiddetto “acquario”, uno spazio comune in cui, microfono alla mano, doveva affermare di essere, testualmente, un uomo di merda. Buona parte di questi racconti, immagino, sono apocrifi, leggende metropolitane. Qualcuna forse no, ma questo non cambia lo stato delle cose. L’uomo non deve essere stato di carattere facile. Quello in cui si è mosso, come peraltro è norma, è un mondo in cui per fare i capi come si deve bisogna essere stronzi. Stronzi ma intelligenti, perché gli stronzi cretini è il sistema stesso a espellerli, con loro grande scorno.

Lui intelligente lo era di certo. Faccio un solo esempio: un uomo che ha il coraggio di accusare pubblicamente, come fa in questo video, i danni culturali incalcolabili che il ’68 ha provocato al nostro paese e che ancora oggi paghiamo in una società, come dice lui, in cui tutti ritengono di avere diritti ma nessun dovere, è sicuramente dotato non solo di grande capacità di analisi, ma anche di insolito coraggio nell’esprimerla.

Ma è un’altra la domanda che mi pongo, in questi giorni. Marchionne ha passato due terzi della sua vita a correre come un matto in giro per il mondo, seduto sulla poltrona di un jet privato con un telefono incollato all’orecchio, intento a risolvere problemi e inventarsi soluzioni strategiche geniali. Un’altra leggenda metropolitana narra che negli ultimi trent’anni abbia si sia concesso solo un weekend di vacanza e che per il resto abbia lavorato continuamente, senza tregua, con una determinazione quasi maniacale. Ai suoi collaboratori chiedeva tutto perché lui, al suo lavoro, dava davvero tutto se stesso. Non so se abbia avuto moglie o figli, e in caso affermativo quanto tempo abbia potuto o voluto dedicare alla causa della famiglia o degli amici (se ne ha avuti). D’altro canto, come diceva lui, “chi comanda è solo”. Credo avesse ragione.

Una cosa però mi piacerebbe saperla, sul serio. Sapere con certezza cosa ha pensato, sul letto di morte, un uomo così fuori dall’ordinario. Avrà concluso che è valsa la pena di sacrificare l’esistenza intera sull’altare della propria professione? Che decine di milioni di euro all’anno siano stati sufficienti a pagare una dedizione così assoluta e priva di compromessi? Lui, che diceva con grande e condivisibile entusiasmo «siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa facciate duri una vita intera o perfino più a lungo», sarà trapassato sicuro che la sua opera gli sarebbe sopravvissuta almeno qualche anno?

Non lo so, davvero. So solo che di fronte alla morte tutta la nostra presunzione egocentrica si sgonfia come un palloncino, e tutto diventa talmente relativo da perdere importanza. E quando rivedo il viso stanco del Marchionne degli ultimi tempi, quello che aveva affermato, forse per la prima volta in vita sua, di essere stanco e voler cambiare vita, se rivedo il viso provato di quell’uomo che non mi aveva mai ispirato simpatia, mi viene solo voglia di dargli una carezza sul viso, portargli un caffè e fare due chiacchiere con lui.

Così, come due conoscenti qualsiasi che aspettano insieme la sera.


La canzone della clip è “Take the long way home”, dei Supertramp, tratta dal celeberrimo album “Breakfast in America” (1979); questa volta in versione live. Una delle più belle canzoni scritte da Roger Hodgson, direi: per quanto mi riguarda, la ascolto ogni volta che mi rendo conto che i miei piedi si stanno staccando da terra.

Lascia un commento