Radiologia e fiction televisive (un post di Alfredo)

di | 21 Gennaio 2015

Questa è la risposta al mio ultimo post, e la invia Alfredo Siani. Il dottor Siani (professore emerito, ma lui non ama ricordarlo) è stato presidente SIRM in tempi non molto lontani, e la sua è stata un’esperienza societaria un po’ fuori dagli schemi: a lui va ascritto il merito di aver aperto il forum del Presidente, una piazza comune in cui venivano discussi liberamente temi di scottante attualità. Inutile dirlo, la rubrica fu chiusa dopo l’avvento del suo successore. Alfredo Siani mi ha contattato la prima volta sul blog (quando era presidente), e da allora mi tiene d’occhio con affettuosa attenzione. Un suo parere sulla spinosa questione che sto affrontando da alcuni anni, e riguardante l’evoluzione della nostra figura professionale, ha un peso specifico importante.

Ho letto con interesse il vostro articolo, che mi sembra ben strutturato e pieno di dotte citazioni di prestigiosi colleghi. Non posso aggiungere molto, ma penso che i responsabili di tutto questo siamo proprio noi radiologi. Guardate gli sceneggiati televisivi: il radiologo non c’è mai; dietro la consolle ci sono i “clinici”; le radiografie attaccate ai negativoscopi sono sempre al contrario e noi non siamo mai riusciti a convincere sceneggiatori e/o registi a consultarci durante le riprese.

Chi di noi non ha refertato centinaia di radiografie fatte dai tecnici, anche dopo alcuni giorni? Noi radiologi “diversamente giovani” lo abbiamo fatto negli studi periferici in cui andavamo per arrotondare lo stipendio, anche perché, all’epoca, non era stato ancora scritto l’Atto Clinico-Radiologico e ci accontentavamo delle poche note cliniche che ci scrivevano i tecnici.

E allora? La vera svolta, se ci sarà, sarà solo quando le richieste saranno effettuate per patologia d’organo e decideremo noi che tipo di esame fare per quella determinata patologia. I vantaggi sarebbero enormi: diminuzione dei costi e delle liste di attesa per esami inutili, il radiologo come interlocutore unico dei colleghi clinici, eliminazioni di referti in cui c’è scritto “verosimilmente”, “in prima istanza”, vero rapporto fiduciario con il paziente.

È la soluzione? Si realizzerà mai? I Medici di medicina generale consentiranno che si faccia? Chi può dirlo.

(Alfredo Siani)

Ed è vero: chi può dirlo? Nessuno, forse; o a dirlo possiamo essere noi, con il nostro lavoro quotidiano. Forse in pochi se ne sono accorti, ma la situazione sanitaria del paese sta degenerando: quello che oggi ci sembra dovuto, domani potrebbe essere perduto. Le lamentele per le liste d’attesa, che oggi orientano le politiche regionali, domani potrebbero tradursi in un esodo di massa verso il sistema privato. D’altro canto Noah Chomsky, qualche anno fa, parlando della scellerata politica delle privatizzazioni, scriveva a chiare lettere: “Questa è la strategia standard per privatizzare: togli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente si arrabbia e tu consegni il capitale al privato”.

E’ davvero questa la sanità nazionale che vogliamo? Ecco la conclusione, scettica in senso squisitamente borbonico (perché queste sono le origini di Siani, comuni alle mie), con cui il Presidente ultima il suo post. Le variabili sono tante, la maggior parte delle quali fuori dal nostro controllo di operatori sanitari. Ma qualcosa possiamo farla: resistere, cercare una strada ragionevole di confronto, sensibilizzare l’opinione pubblica. O anche solo svolgere degnamente il nostro lavoro: e già sarebbe grasso che cola.

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