Dietro insistenza di un manipolo di bloggonauti (segnalo soprattutto Luigi ed Emanuela; e, tra i due, in particolar modo la seconda), che me lo hanno più volte consigliato, sono andato in libreria e ho comprato il primo romanzo di Alessia Gazzola. Si intitola “L’allieva” e narra le vicende di una giovane specializzanda in medicina legale, al tempo stesso brillante e imbranata, alle prese con una torbida storia di droga e omicidi nella Roma bene di inizio secolo.
Veniamo al dunque: cara Emanuela, caro Luigi, io sono un lettore difficile e più il tempo passa più il mio carattere (di lettore) peggiora. Lo so che non é più il tempo di Calvino e di Sciascia, che il mondo dell’editoria è cambiato e con lui anche il modo di fare, intendere e vendere la letteratura; ma spero che mi perdonerete se, di fronte alla minuziosa descrizione del giornalista belloccio che indossa un giubbotto North Face color ardesia bruciacchiata o prima di uscire di casa si spruzza sul collo Agua de Noantri di Giorgio Erbatman, mi viene un principio di crisi convulsiva e divento quasi dislessico. Non è cattiveria: è solo che questa roba qui la scriveva già Ken Follett, con ben altro stile, qualcosa come quattro decadi fa (e io ho smesso di leggerla a quindici anni, quella roba, un secondo dopo aver chiuso le pagine de La cruna dell’ago). E poi non sono nemmeno tanto obiettivo perché i medici legali, di default, non mi stanno simpaticissimi.
Ma la ragazza è giovane e poi, in fondo, è una collega: che diamine. Per cui non mettetemi più in difficoltà, per favore: piuttosto criticate i miei post, lo preferisco.