Oggi ho ricevuto un regalo di Natale.
Ce l’ho davanti agli occhi in questo momento: è un soprammobile lungo e stretto, in vetro di Murano. Sembra una gondola, nera e rossa. La consistenza, al tatto, è proprio quella del vetro di Murano: liscia e ruvida al tempo stesso, dura e pastosa al tempo stesso.
Lo terrò sul tavolo della sala, forse. O forse lo metterò in camera. Potrebbe funzionare anche come portacenere, credo, ma tanto non ho mai fumato in vita mia. Oppure potrei portarlo nel mio studio, in ospedale: e allora il senso del regalo sarebbe compiuto.
Perché, sapete, a regalarmelo è stata una signora che non c’è più. Una signora con un sorriso dolcissimo e un brutto male in pancia. Una signora a cui ho fatto tutti gli esami radiologici possibili, sperando che la malattia non fosse così rapida a portarsela via. Una signora che veniva a trovarmi anche negli intervalli fra un esame e l’altro, un intervento chirurgico e l’altro: per dirmi come stava, come si sentiva in quel momento. Per farsi confortare. Per godersi un po’ di compassione: laddove compassione non è il termine che nell’accezione odierna siamo abituati a considerare sconveniente o umiliante, ma null’altro che il dispiacere dei dolori altrui, quasi che fossero i nostri.
Dimenticavo: allegato al regalo c’è anche un bigliettino con un albero di Natale tutto addobbato. Che recita: Un augurio affettuoso di Buone Feste a Lei e famiglia.
Un augurio affettuoso. Perfettamente in tema con il suo sorriso.
Mi fa impressione tenere il biglietto in mano. E’ come se la signora fosse venuta a trovarmi un’altra volta: ma questa senza più bisogno di sfogarsi e senza desiderio di compassione.
Solo per aver voluto un po’ di bene a un medico, un medico qualunque, uno dei tanti con cui ha avuto a che fare negli ultimi mesi di vita.