Relazioni tra il Negazionista e la teoria della psicologia delle masse di Freud (parte 3)

Ottobre 16th, 2020

Il problema del negazionismo come sintomo psichiatrico di massa, a ben pensarci, ha però nel nostro paese la radice più profonda in un terreno che a guardarlo oggi sembra il più arido e improbabile possibile: quello della politica. Vi avviso subito: la prenderò larga in modo che i soggetti della mia analisi siano costretti a sudare quattro camicie per capirci qualcosa (e probabilmente senza capirci nulla lo stesso).

Anno del Signore 1989: accade la peggiore disgrazia europea di tutti i tempi. Non una guerra, una di quelle che hanno funestato il continente per due millenni, troppo facile. Non una pestilenza, quella è in corso adesso e ancora non sappiamo come uscirne. L’evento funesto si chiama, e non sto scherzando, caduta del muro di Berlino.

Siamo sempre stati ammaestrati dai libri di storia e dai programmi televisivi a riconoscere quella data, il 9 novembre 1989, come portatrice di un evento salvifico per l’intera umanità. Finalmente, a colpi di piccone, era stato buttato giù lo steccato che divideva est e ovest, russi e americani. Fine della guerra fredda, fine del terrore atomico, pace nel mondo per i secoli dei secoli a venire.

Adesso, che invece sappiamo come sia andata a finire, è possibile risalire a monte del fiume della storia e affermare con una certa sicurezza che tirar giù quel muro è stata una gigantesca, fenomenale, galattica cazzata. Ma attenzione, prima che mi saltiate tutti addosso: voglio precisare che il problema non è stato tanto il tirarlo giù in sé (d’altro canto, che in un contesto civile come l’Europa di fine anni ’80 trovasse luogo un abominio come quello era sinceramente intollerabile), quanto il modo con cui si è scelto di farlo. Il modo e i tempi. Perché certi processi politici vanno ponderati, accompagnati con grande cautela e non lasciati in balia dell’uzzolo delle folle. Per governare eventi epocali come quello ci vuole un progetto che vada ben oltre il puro e semplice abbattimento della barriera fisica rappresentata da un muro e che prescinda dalla scelta, adesso chiara, di accelerare i tempi a tutti i costi perché ciò che conta è il risultato strategico finale. Utilizzando per lo scopo qualsiasi mezzo. Fosse anche il dotarsi, tra le altre armi, di una testa d’ariete che facesse il lavoro sporco: il papa polacco. 

Ma queste cose già le sapete, così come conoscete bene le conseguenze politiche sul breve e medio termine del crollo del Muro. Finiti bipolarismo e guerra fredda, il pianeta intero è finito nelle mani di una sola superpotenza che da allora ha fatto il bello e il cattivo tempo senza peraltro beccarne una a sua vantaggio, e conducendo il genere umano in un’era di ossimori straordinari come l’esportazione armata della democrazia (guarda caso, però, solo nei luoghi in cui ci sono enormi risorse naturali di energia). L’Europa è finita in mano alla Germania, che prima si è fatta rimettere in sesto economicamente e poi ha ripreso l’autistico sogno imperialista che la contraddistingue da fine ‘800: questa volta senza matti isterici che aizzano folle, ma col volto rassicurante di una massaia sovrappeso della Germania dell’Est. In Italia invece ci fu un vero e proprio colpo di stato: Tangentopoli. La vecchia classe dirigente, che bene o male aveva garantito al paese mezzo secolo di stabilità, anche economica, non era più funzionale al sistema. Ci volevano quelli nuovi, adesso, per realizzare i progetti arditi che ci hanno condotto nel 2008 a una crisi senza precedenti e dalla quale non siamo ancora venuti fuori.

Questo, proprio questo è il nostro punto di partenza.

Una volta, in Italia, c’erano i democristiani e i comunisti: i quali si combattevano su un terreno ideologico, da due parti opposte della barricata. Con piccoli distinguo, o eri democristiano o eri comunista, non si sfuggiva a questa dicotomia. La destra e la sinistra estreme se ne stavano in un angolo, difendendo percentuali con lo zero virgola, tutto il resto faceva parte della galassia democristiana o di quella, più monolitica, dei comunisti. Sto semplificando, ovvio, e per qualcuno appassionato di politica potrà sembrare una bestemmia, ma neanche più di tanto: ve lo ricordate il pentapartito? Un’Italia a guida centrista, di matrice cattolica. Chi provò ad andare oltre, precorrendo i tempi, non fece una gran bella fine: citofonare a casa Moro per spiegazioni più dettagliate.

Caduto il muro, come per uno smisurato smottamento politico conseguente al crollo, si sono disintegrati i partiti politici che proprio al muro dovevano la propria esistenza. Talmente disintegrati che adesso, oltre 30 anni dopo, di essi non è rimasto nulla: i partiti che si richiamano a ideologie comuniste fanno sorridere, quelli che si richiamano a ideologie democristiane fanno tristezza. Qualche nonno mezzo rincoglionito della Prima Repubblica ci ha provato, a teorizzare la rifondazione della DC, ma la proposta non ha avuto seguito. E i motivi ci sono, chiari. Il nonno non aveva tutti i torti, forse, ma il progetto non era funzionale e vi spiegherò più avanti il perché.

Qui, inesorabilmente, ritorno al negazionista. Il papà del negazionista era di sicuro fuori dall’Hotel Rahael, a Roma, a lanciare le monetine a Craxi. Il papà del negazionista faceva il tifo per Di Pietro e la Procura di Milano, voleva vedere tutti in galera e subito, col massimo della pena, e se avesse potuto tirar fuori dalla soffitta una ghigliottina l’avrebbe fatto con sommo gusto. Nel mentre, il genitore del negazionista passava le serate a guardare culi e tette sulle reti Fininvest, dove venivano sperimentati i primi programmi di rincoglionimento di massa (tipo Drive-In) che poi avrebbero trovato naturale e raffinata evoluzione in quelli della coppia Costanzo-De Filippi, destinati nel tempo a demolire la scarsa intelligenza residua dei loro figli. Il negazionista lanciava le monetine a Craxi perché la piazza, virtuale o meno, è il suo terreno di pascolo e il potere costituito il suo nemico naturale, e vorrebbe sempre agire con le stesse modalità con cui furono messe in atto, per esempio, la rivoluzione francese o la caduta del fascismo: tagliando teste e appendendo i cadaveri illustri per i piedi. Il negazionista nega i valori del passato perché un passato senza valori lo affranca dalla sensazione di aver fallito su tutta la linea, di non aver costruito nulla di buono, di essersi limitato a vegetare per buona parte della propria esistenza. Perché la prima regola del negazionista, secondo la celeberrima Teoria della Montagna di Merda, è la seguente: la colpa della mia vita infame non può essere mia ma deve essere di qualcun altro, se possibile di qualcuno bene in vista. Ma meglio ancora se questo Qualcuno è assolutamente invisibile agli occhi, perché così non sono costretto a circostanziare il mio punto di vista e posso maledire a casaccio tutto, senza criterio, dai capi di stato appartenenti al NWO ai rettiliani che governano il mondo mascherati da esseri umani. Il negazionista, prima di fare il tifo per Di Pietro, era democristiano o comunista, e gli andava bene così. Prima dei sit-in di piazza contro Berlusconi, ai tempi del se-non-ora-quando, era un berlusconiano convinto. Prima di cedere al terrore verso i poteri forti e dell’Europa fascistizzante dell’euro, era un montiano di ferro perché se non ci fosse stato Monti l’Italia avrebbe fatto bancarotta e qui da noi ci vorrebbero i tedeschi a comandare, altro che. E prima di odiare i 5 stelle in quanto inesperti, incompetenti e sconclusionati, quali peraltro sono, perché non è bastato il reddito di cittadinanza a ridurre il livello della sua angoscia, era un simpatizzante della prima ora di Beppe Grillo e del suo blog.

Però c’è un problema: i partiti politici della Prima Repubblica si sono liquefatti, è vero, ma proprio in virtù delle proprietà fisiche dei liquidi hanno finito per mescolarsi tra loro. La caratteristica dei cosiddetti partiti della Seconda Repubblica è che si possono ricombinare in qualsiasi modo perché, in fondo, sono composti della stessa sostanza: il nulla. Un nulla talmente smisurato che le figure vincenti in politica, da qualche anno, sono gli amministratori duri e puri: sindaci e presidenti di regione in testa. Più gli amministratori mostrano piglio deciso e ripropongono il mito mai sopito in Italia dell’Uomo Forte al comando, più la folla va il deliquio e li premia con percentuali bulgare alle elezioni. L’Uomo Forte si ritrova attualmente nelle stesse condizioni del Signore medioevale: potere quasi assoluto, fiducia solo in un ristretto numero di fedelissimi (il cerchio magico), rapporto diretto col suddito che rende superflue tutte le figure intermedie della catena di comando democratica. E, in questo modo, deregolamenta il gioco politico e rende obsoleta l’appartenenza a un credo, um movimento, un partito. L’Uomo Forte è la negazione stessa della democrazia, che ne sia consapevole o meno. E rappresenta l’anticamera inesorabile del fascismo.

Infatti, e cito a titolo di esempio, ritrovare la signora Beatrice Lorenzin tra le file del PD non sorprende più di tanto. La nuova collocazione “politica” dell’ex ministro berlusconiano prima, e poi dell’UDC, non va intesa come un banale salto della barricata o un tradimento interessato della propria parte politica: il tragitto dalla destra più o meno moderata alla sinistra più o meno moderata è naturale, quasi fisiologica, perché tra queste presunte parti avverse non esiste nessuna differenza. Il colore degli stessi governi è assolutamente privo di significato: qualsiasi patito può allearsi con qualsiasi altro senza che cambi il risultato finale e non può quindi scandalizzare il recente cambio di maggioranza al governo né gli anni precedenti in cui il paese è stato retto da un governo cosiddetto delle larghe intese. Le larghe intese in Italia sono possibili, ossimoricamente, proprio perché inevitabili.

L’agone politico italiano di oggi è insomma un enorme, smisurato lago catto-comunista dal quale emergono solo due minuscoli scogli, uno all’estrema destra e l’altro all’estrema sinistra, senza alcun peso politico e dall’aspetto più che altro folcloristico. E in questo lago, per definizione, trovano luogo, fuse tra loro, le caratteristiche peggiori di entrambi i vecchi schieramenti politici: il perbenismo peloso dei democristiani e la smisurata invidia sociale dei comunisti. Questo mix terribile fa in modo che nella vita pubblica imperi un buonismo di facciata che a intervalli più o meno regolari esplode spargendo intorno schegge di violenza inaudita: ogni cosa viene chiamata con un neologismo orwelliano, per non correre il rischio di offendere qualcuno, ma al tempo stesso le reazioni della massa a offese reali o presunte sono diventate di una violenza inaudita. Il che spiega i motivi del fallimento del nonno un po’ naïf della Prima Repubblica che voleva ricostituire la Democrazia Cristiana: un agone politico liquido semplifica le cose agli attori, non li costringe a compromessi ideologici o culturali e permette anche a figuranti senza arte né parte di avere accesso alle stanze dei bottoni.

È in questo fantasmatico lago catto-comunista che sguazza, come un pesce felice, il negazionista. Egli può esistere e prosperare perché, di fatto, nulla di ciò che viviamo è più vero: l’assenza di punti di riferimento intellettuali determina l’insussistenza del pensiero come motore dello sviluppo e di qualsiasi tipo di cambiamento. Per un negazionista, paradossalmente, stiamo vivendo un periodo d’oro: la mancanza di qualsiasi substrato culturale, fin dai tempi della scolarizzazione, lo rende inabile alla comprensione della realtà e al tempo stesso lo autorizza ad avere un giudizio insindacabile su qualsiasi argomento dello scibile umano, rifiutando di riconoscere le figure ufficiali di riferimento e riconducendo ogni questione all’equazione teoria della realtà=complottismo/negazionismo. L’assenza coatta della politica, che è stata deliberatamente assassinata nel 1992 come effetto collaterale della caduta del Muro, gli permette di scivolare dall’adorazione cieca dell’Uomo Forte del momento al delirio distruttivo verso chiunque abbia in qualche modo mancato al suo dovere di amministratore o, nella fantasia malata del complottista, stia tramando nell’ombra con le potenze oscure che governano il mondo.

La lezione che si può trarre da tutto ciò, in ultima analisi, è che l’ignoranza genera paura, la paura crea mostri e i mostri generano violenza. Cosa generi la violenza non devo certo dirvelo io. Però, forse, ai complottisti/negazionisti si: ma per riuscirci dovrei usare parole semplici, e la complessità dell’argomento purtroppo non lo permette.