Scusa se ti do del tu

di | 22 Dicembre 2011

Facendo riferimento al post del mio amico Scorfano, che a queste tematiche è sempre e giustamente molto sensibile, vi racconto una specie di sequel della sua disavventura.

Sono di turno in ecografia esterni, e con una certa fatica ho guadagnato la fine della lista di lavoro mattutina: ventiquattro esami in sei ore, con i pazienti che sotto Natale hanno particolare voglia (e sacrosanto diritto, peraltro) di parlare con il medico che si sta prendendo cura di loro, a volte possono essere davvero molti.

L’ultimo paziente è un ragazzone di ventisei anni. Il sospetto clinico è sindrome del tunnel carpale: per uno che di mestiere fa il manutentore di pompe di benzina, e lavora in ginocchio sollevando pesi con la sola forza delle mani e dei polsi, il dubbio ci può anche stare.

Insomma, inizio l’esame dopo aver chiesto le dovute informazioni al paziente (questa si chiama anamnesi) e dopo averlo sommariamente visitato (sommariamente perché sono un radiologo, non un ortopedico, ma la visita comunque mi aiuta a capire se il sospetto clinico di chi mi ha proposto l’esame ha un senso) e mi accorgo che fin da subito che lui, nonostante io mantenga un rispettoso “lei” di prammatica, ogni tanto scivola nell’informale tu. Poverino, cerca pure di controllarsi, torna al lei ma poi ci ricade nuovamente; e a un certo punto, spossato, esclama: Senti, scusa se ti do del tu.

Io non faccio una piega, non gli dico: Prego, fai pure, e nemmeno mi adombro. Continuo a condurre il mio esame e, siccome siamo in ospedale e non al pub, e in questa circostanza io sono il medico e lui il paziente, continuo a dargli del lei con la stessa gentilezza di prima. Fino alla consegna del referto, quando lo congedo con un cordiale arrivederci (al quale lui risponde, finalmente, a tono).

Adesso, non è che io di base sia uno stronzo, e neanche mi diverto a dilatare distanze che potrebbero tranquillamente essere contratte. E’ che la vita ci porta ad avere ruoli diversi, e capita che i ruoli necessitino di un inevitabile distacco dalle cose di cui ti stai occupando. Per cui, ripeto, il tu a volte può andar bene al bar e spesso anche su internet: ma davanti a un paziente no, assolutamente, né in un senso né nell’altro.

Per cui mi sono chiesto dove abbia origine questa pulsione ineluttabile così tanto di moda a dare del tu a chiunque ci attraversi la strada: ed è troppo semplice blaterare di educazione che non c’è più, di genitori che non insegnano i fondamentali ai figli, eccetera. A me è venuto in mente che il nostro portale educativo, la televisione, ci propone invece proprio questo modello: in televisione tutti si danno del tu, attori, presentatori, sportivi, veline, giornalisti, semplici comparse. Logico che uno il modello lo assorba per osmosi e tenda poi a riproporlo nel proprio microcosmo.

Senza contare che gli unici casi in cui qualcuno si da del lei è nei programmi di cosiddetto approfondimento politico. Dove il lei, tra parlamentari o peggio ancora tra giornalisti altrettanto schierati, non è più da tempo un gesto di rispetto ma un’attestazione palese di disprezzo: quasi a dire che con gente di quella risma proprio non ci si vuole mischiare. Anche perché, dall’altra parte dello schermo al plasma, tutti lo sappiamo: nella vita reale quelli si danno del tu perché è gente che fa lo stesso mestiere, ci mancherebbe altro.

Ed ecco che viene veicolato il messaggio al contrario: se il lei televisivo è sempre ricolmo di generico disprezzo per l’interlocutore, chiaro che il ragazzotto in ospedale finisce per darti del tu. Magari pensa che, a dargli del lei, il medico si possa pure offendere.

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