Brutto periodo? Difficile, quantomeno.
Stanco? Parecchio, ma più che stanco esasperato. Dalle macchine di reparto che si rompono in rapida successione, per esempio, come sotto l’effetto di una macumba (che, per inciso, io non ci credo ma un paio di personcine così diabolicamente potenti e fetenti da riuscirci mi vengono pure in mente).
E allora oggi si esce dall’ospedale del fiume piccolo, che domani non si lavora, e si imbocca l’autostrada. Cosa ascoltiamo di bello? Spotify la butta lì: “In bicicletta”, di Riccardo Cocciante. Canzone peraltro perfetta per questo periodo, e so io perché.
Allora riprendo quel vecchio album del 1982 e lo riascolto tutto, dopo qualcosa come trent’anni. Scoprendo, nell’ordine, che a) ricordo a memoria tutte le parole di tutte le canzoni e b) ci arrivo, anche agli acuti, canto con Cocciante come se le canzoni le avessi scritte io, per me.
Così evaporano in fretta il brutto della giornata, i problemi irresolubili, i reclami impazziti, il pacco di esami da smaltire. Proprio tutto.
E restano solo la strada, lunga, il cielo, sereno, le ruote della Chevrolet che rullano sull’asfalto e quel ragazzino di quindici anni che ancora canta le canzoni del migliore album di Cocciante. Un album che non ascoltava da almeno trent’anni, e di cui ricorda tutte, ma proprio tutte, le parole a memoria.