L’ultima eclisse di sole l’ho vista nel 1999, alle soglie del diploma di specialità. Anche in quel caso era mattina: uscimmo in quattro o cinque dalla sezione TC, poco affiatati come d’altronde eravamo stati fin dal primo giorno di creazione della squadra, e armati di una radiografia sovraesposta per l’occasione puntammo gli occhi al cielo.
Avvertivo una sottile malinconia da vigilia della fine del mondo, da lì a poco per me tutto sarebbe cambiato: e se da un lato il cambiamento era fonte di enorme sollievo, dall’altro coltivavo quel ragionevole timore del futuro lavorativo che accompagna qualsiasi specializzando alle soglie del diploma.
All’improvviso la luce scemó, quasi senza preavviso, diventò obliqua come al tramonto e cambiò tonalità. La luna stava passando davanti al sole, ridotto a una sottile falce, e noi la guardavano a intervalli attraverso le nostre radiografie mal ritagliate, timorosi di bruciarci la retina. Quando la penombra fu massima si alzò persino un vento orizzontale, polveroso, da scampati alla fine del mondo. Fu quasi un sollievo tornare in istituto a sentire il Direttore che scancherava all’indirizzo dei romanticoni che si erano allontanati per guardare l’eclisse.
Oggi, a distanza di 16 anni, ancora una eclissi. Meno scenografica, perché il cielo era nuvoloso, il sole si vedeva solo a tratti ed eravamo davvero in pochi a guardare il cielo: come se ci si vergognasse a perder tempo in occupazioni così futili mentre la crisi devasta il paese e si mangia il futuro dei nostri figli.
E di nuovo ho provato quella malinconia da vigilia della fine del mondo, ma stavolta senza l’incertezza del futuro che all’epoca mi riempiva di preoccupazione. Non so se il Padreterno abbia tempo da perdere e lo sprechi per inviarci segni criptici (dovessi scommetterci direi proprio di no, sinceramente), ma a volte è bello pensare così.
Qualunque cambiamento interiore ha bisogno di simboli che lo rappresentino. E allora adoperiamoli pure, i simboli che ci vengono proposti.