L’anno scorso, di questi tempi, ragionavo tristemente sulle curve dei contagi e dei ricoveri ospedalieri da covid che si impennavano dopo tre mesi di relativa tranquillità estiva. Invitavo tutti alla prudenza e nel mentre mi beccavo, tra le altre offese, dell’infame di regime (sic). All’epoca ipotizzavo anche, molto ingenuamente, che la curva del negazionismo avrebbe avuto un decorso inverso rispetto a quella dei contagi, e invece mi sbagliavo: le due curve sono cresciute in modo sincrono, fornendo agli specialisti del settore materiale per anni di studi antropologici e psico-patologici. E lasciandomi perplesso, incredibilmente perplesso sulla capacità che qualcuno ha sviluppato di immaginare, in un mondo come il nostro che a tutti i livelli è popolato da indicibili cialtroni, un complotto trasversale che necessiterebbe di un’organizzazione perfetta, capillare, coordinata in tutte le sue parti. Ma questo è un altro discorso: a un certo punto, quando tutte le profezie catastrofiste saranno smentite dai fatti, come peraltro accade regolarmente, e sarà finalmente chiaro che il livello del possibile complotto è molto più elementare di quanto si immagini, non so cosa potrà accadere. Forse un suicidio di massa: se lo scopo del complotto era spopolare il pianeta, pensate all’ironia bruciante di una società che si spopola da sola, in preda a un delirio autodistruttivo mediato dall’evidenza che viviamo in un mondo in cui persino poste italiane fatica a consegnare in tempo utile un pacco. Figuriamoci quindi la fatica di organizzare un complotto su scala planetaria, che peraltro non si sa bene quale fine occulto dovrebbe raggiungere.
Ma veniamo a noi: oggi è un giorno veramente speciale. Dopo quasi due anni di reclusione, di webinar terrificanti in cui hanno parlato tutti, ma veramente tutti, e spesso senza avere idea dell’argomento di cui discettavano, di progetti a breve scadenza sistematicamente frustrati dall’evidenza che la situazione epidemiologica non migliorava, siamo ripartiti con i corsi radiologici in presenza a Rovereto. Ho ritrovato i colleghi del gruppo, che ormai dopo quasi dieci anni di lavori sono diventati amici. Ho ritrovato Rovereto, dove mi sento a casa, e il solito albergo, nel quale dormo bene come in nessun altro posto del mondo. Ma soprattutto ho ritrovato i corsisti, il loro desiderio di imparare, di approfondire, di confrontarsi sul lavoro quotidiano. Quando abbiamo aperto i lavori, vi giuro, ero più emozionato del giorno in cui si tenne la prima edizione (e vi sto parlando del lontano, ormai lontanissimo 2012): per cui ho preferito non perdere tempo in discorsi futili e ho chiesto ad Andrea, il co-organizzatore, di fare una foto con l’uditorio.
Ho chiesto: Mi alzate tutti le braccia?
Gli sventurati corsisti mi hanno dato retta e il risultato è quello che immaginate: una foto di speranza, di occhi che sorridono, colma della migliore volontà di ricominciare a vivere, trasudante entusiasmo e desiderio di normalità. Perché io non lo so se esista o meno, lo stramaledetto complotto mondiale su cui in tanti hanno fondato le proprie fortune economiche e di visibilità personale, ma di una cosa sono certo: le cose, tutte le cose del mondo, dopo qualsiasi emergenza tornano normali in poco tempo. Non è un animale così tanto elastico, l’homo sapiens. E non è facile tenerlo in gabbia.
Le uniche cose che non torneranno normali, lo avete già capito da soli, saranno i costi delle bollette energetiche, dei carburanti, del riscaldamento, delle autostrade. Forse il vero complotto era questo: se volete la vecchia, rassicurante crescita economica dovete imparare ad apprezzarla e pagarla a caro prezzo. Nel mondo dell’iperliberismo nulla può essere gratuito: dal vaccino alla corrente elettrica che usate per caricare il vostro smartphone. Insomma: l’unica lezione che avremmo dovuto imparare dalla pandemia mondiale, quella della solidarietà, della condivisione e della compassione, l’abbiamo irrimediabilmente persa. Ma questo è un altro discorso, e lo faremo un’altra volta.
La canzone della clip è “I’ll be your friends”, di Joshua Radin, tratta dall’album “The ghost and the wall” (2021).