Un dolore da morire

di | 4 Novembre 2011

La chiamavano “nevralgia dei suicidi”: perché il dolore della nevralgia del trigemino è talmente insopportabile che chi ne era affetto, in epoche in cui non erano ancora a disposizione terapie efficaci e nemmeno farmaci antidolorifici, preferiva togliersi la vita che continuare a soffrirne.

Non è una malattia infrequente quanto si possa credere, e non ne sono stati immuni personaggi celebri: Giulio Cesare, pare, Carlo Magno, Galileo Galilei. In tempi più recenti, Cassius Clay; ma in quel caso ci piace pensare che la responsabilità fosse dei cazzottoni che si era preso in faccia, e non di altro. Una nevralgia meno nobile, insomma, a misura di chi pratica la cosiddetta nobile arte.

Perché ne parlo? Perché é accaduto anche a me, di recente: per colpa di una carie penetrante di cui non mi ero accorto fino all’insorgenza, appunto, di una nevralgia del trigemino. E quindi, ancora, perché ne parlo? Perché in questo post avevo parlato del dolore e dei suoi motivi, sforzandomi di astrarre l’universale dal particolare. Ma avevo fatto i conti senza l’oste, ossia senza mai aver provato il padre di tutti i dolori. Adesso che ho ottenuto questo privilegio, la mia comprensione del problema si è allargata. Esistono dolori, in natura, talmente spoporzionati che l’unico pensiero possibile in quei momenti è il seguente: per quanti peccati io possa aver commesso nella vita non esiste colpa che giustifichi un castigo del genere. Cioè: la sofferenza è talmente enorme da essere completamente spoporzionata rispetto a qualunque altro dolore uno possa aver provato nella vita. E’ un dolore talmente enorme, talmente concentrato, talmente puro, talmente resistente a qualunque antidolorifico, talmente privo di senso e di giustificazione che se ce l’avesse qualcun altro sarebbe interessante contemplarlo da un punto di vista puramente scientifico. Invece riesci solo a piangere, quando arriva l’attacco acuto, e a desiderare che qualcuno ti strappi i denti e già che c’è anche la mascella; e per fortuna hai portato con te gli occhiali da sole, così nessuno per strada se ne accorge.

E con il tempo, quando la sofferenza non è che diventi più sopportabile, che è impossibile, ma almeno ne hai esplorato in lungo e in largo estensione e possibilità e dunque la vigliacca non può più coglierti di sorpresa, scopri che il dolore ti sublima, ti trasporta in un universo parallelo dove non esiste altro che te stesso e il dolore; e che per liberarti del dolore, appunto, saresti disposto a rinunciare persino a te stesso.

Adesso, che ho curato il dente e dovrò accendere un mutuo per pagare il mio dentista, tutto sembra passato: il dolore sordo che avverto ancora adesso dove avevo la radice marcia mi sembra quasi consolante, il regalo di un Dio misericordioso. Insomma, quando si dice la relatività dei punti di vista.

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