Adesso, non è che io sia un cultore della difesa di categoria a oltranza. Ho sempre detto che in giro ci sono medici bravi e medici meno bravi, e talvolta si rischia di incontrare anche il medico assolutamente, inequivocabilmente cane. Così come ho sempre detto che anche il medico geniale, quello che vi ha risolto brillantemente il problema di salute e che voi consigliate ad amici e parenti, chissà quante altre volte ha sbagliato diagnosi o terapia e ha inguaiato la vita di altre persone. Il miglior radiologo, dice la letteratura scientifica, è quello che sbaglia il 5% dei referti: il che vuol dire che se io fossi il miglior radiologo, e non lo sono, sbaglierei il referto a 5 persone su cento. Il che, moltiplicato per diecimila referti all’anno, vuol dire che nel volgere di quattro stagioni ho cannato referto alla bellezza di 500 persone. E sarei quello bravo: figuriamoci gli altri, quelli normali.
Il tutto per dire che stasera, al tiggì, era in bella mostra (e la privacy?) una radiografia diretta dell’addome di una signora marchigiana a cui un radiologo ha trovato in pancia un corpo estraneo di 15 centimetri (i particolari, per chi non se li è goduti appieno in televisione, sono qui). La signora aveva tolto l’appendice 3 anni prima, e da allora dolori folli e notti insonni fino a che il medico di famiglia, mi è parso di capire, ha avuto il lampo di genio di consigliare un esame radiologico: gettando finalmente luce sul terribile misfatto.
E il servizio del tiggì mi ha evocato un po’ di riflessioni.
Una, tecnica. In televisione parlano di un pezzo di ferro dimenticato in pancia, ma a guardare la lastra sul piccolo schermo il corpo estraneo sembra un frammento di un tubo di drenaggio: dunque è più facile che il drenaggio si sia rotto mentre lo stavano sfilando, e c’è differenza tra essersi dimenticati una pinza operatoria in mezzo alle frattaglie intestinali e non aver controllato che il drenaggio fosse lungo il suo giusto, una volta tirato fuori (voi mi direte che per la paziente non c’è differenza, e su questo posso concordare).
La seconda, anch’essa tecnica: vorrei che chi si occupa di questioni del genere, e anche i pazienti stessi, partecipassero con gli operatori sanitari alla reale vita ospedaliera (quella vera, intendo, non quella eterea e totalmente cerebrale del dottor House). Un errore è un errore, e su questo non ci piove: però magari l’atteggiamento di chi subisce un torto potrebbe essere meno estremo se avesse la precisa consapevolezza di quanti sono i punti deboli, circa una qualunque procedura medica, in cui può crearsi l’errore fatale. Hanno scritto dei tomi da sedici volumi, sull’argomento, e siamo bersagliati continuamente (e giustamente) da strategie di riduzione dell’errore: tuttavia non riusciamo ancora a venirne fuori. Anche perché (e faccio un esempio specifico, vissuto sulla mia pelle) il radiologo trent’anni fa refertava giusto l’esame diretto dell’addome; oggi infila protesi vascolari in aorte rotte, dunque la complessità dell’arte medica è in crescita esponenziale. Uno dei motivi per cui molti anni fa è nato questo blog era il seguente: raccontare, spiegare, far capire a tutti che il mestiere che facciamo è stupendo, ma infame come pochi. E’ vero che anche l’imbecille che mi ha montato la tenda in terrazza, quella che poi è franata a terra portandosi dietro metà muro, ha rischiato di sterminarmi la famiglia: eppure, chissà perché, se davvero la famiglia me l’avesse sterminata nessuno sui giornali parlerebbe di episodio di malatendità (lo so, è un eufemismo orrendo, non vogliatemene male).
La terza, diciamo così, è etica. L’avvocato che difende gli interessi della povera paziente ha snocciolato davanti alle telecamere un’escalation da terza guerra mondiale. E’ partito con la richiesta di risarcimento danni all’amministrazione ospedaliera, poi è passato alla querela contro ignoti, quindi all’esposto all’ordine dei medici e per finire ha chiesto che la regione e il ministero della sanità si occupassero del caso in questione. Già che ci siamo, mi veniva da pensare mentre lo ascoltavo, mettiamo i responsabili alla gogna per una settimana, spariamo nelle gambe dei loro parenti, vendiamo come schiavi i figli, crocifiggiamoli in pubblica piazza e che i corvi gli becchino pure gli occhi quando schiattano. Insomma, tutto questo per dire che c’è modo e modo di esprimere un concetto legittimo come il risarcimento di un danno fisico, e quel modo lì mi ha dato fastidio. Io ne ho sposato uno; ma diciamo che gli avvocati, e specie quando si occupano di sanità, non stanno in cima alla mia personale classifica delle categorie professionali che prediligo.
La quarta è fonte di perplessità. In un momento storico in cui tutti fanno esami complessi anche per sintomi banalissimi, trovo incredibile che un paziente giunga a fare un semplice esame radiografico dopo tre anni di calvario. Ma qui il terreno è minato: magari nessuno ha consigliato mai alcun approfondimento diagnostico; magari gli approfondimenti sono stati fatti ma erano quelli sbagliati; magari erano quelli giusti e c’è stato un altro errore. Però questo è proprio uno dei motivi, o giornalista, per cui una notizia o la si da’ perfettamente circostanziata oppure è meglio farne a meno (come è noto non sono un grosso estimatore nemmeno della categoria dei giornalisti, e men che meno del loro ordine professionale).
La quinta è presa dal mio recentissimo passato. Qualche giorno fa c’è stata l’inaugurazione del nuovo pronto soccorso del mio ospedale, e si è celebrato l’evento con alcune autorità locali e non. Una delle quali, rivolgendosi ai giornalisti e sottolineando come a volte ci sia troppo accanimento dei media nei confronti degli operatori sanitari, ha detto una frase: In una foresta fa’ più rumore un albero che cade che altri mille che crescono. Come a dire: è vero, noi medici sbagliamo e quando sbagliamo possono esserci danni molto pesanti per i nostri pazienti. Ma cacchio, e tutti quanti gli altri che tornano a casa guariti?
PS Nemmeno salvato su server è già mi pento di averlo scritto, questo post. Perché poi, come al solito, mi arriverà a breve giro una lettera di un paziente che è stato massacrato da un medico ignorante e pure stronzo, e io non potrò che sottoscrivere le sue lamentele (come è già successo in passato, e più volte). In tutta questa storia non è tanto l’accanimento che mi turba: vorrei solo che tutto fosse chiaro, che venissero aperti canali di comunicazione più seri fra i sanitari e chi usufruisce della sanità. E’ un lavoro che si può fare: lungo, faticoso, tutto quello che volete voi, ma si può fare. E mi incazzo perché invece tutti pensano ai massimi sistemi, in sanità, ma nessuno mai a comunicare meglio con le persone.