Premetto: vi ho già parlato in passato di cos’è una biopsia polmonare con ago tranciante. Per chi non ha seguito le puntate precedenti, trattasi di procedura radiologica interventistica, in genere effettuata sotto guida TC, con cui il radiologo preleva (mediante apposito ago a scatto) un piccolo cilindro di una massa polmonare: lo scopo è di verificarne la natura istologica (benigna o maligna). E’ una procedura non esente da rischi: il paziente deve essere collaborante, il radiologo esperto, e ciononostante è facile avere complicanze minori come aria nel polmone (pneumotorace) o emoftoe (sanguinamento dalla bocca, perché l’ago trancia anche i vasi sanguigni e i bronchi che incontra sulla sua strada). Il problema sono le complicanze maggiori: rare, ma possibili. Come in ogni campo applicativo medico (anche dal dentista rischiate la pelle, se non sapete di essere allergici all’anestetico locale).
Nel caso specifico, risalente a qualche giorno fa, il radiologo valuta la paziente, le spiega cosa dovrà fare, in che modo lei potrà collaborare, e comincia la procedura. Il nodulo è piccolo, in brutta posizione, e hanno già provato a pungerlo in un altro ospedale senza riuscirci. Ma siccome lui è armato di occhio di falco e di mani di fata, lo centra al primo colpo. Estrae il frustolo di polmone, rassicura la signora sull’esito e chiede al tecnico della TC di controllare se ci sono problemi.
Mentre parte l’ultima scansione TC la signora, semplicemente, da un secondo all’altro smette di respirare. Attimo di panico: il radiologo entra di corsa nella sala TC, comincia la rianimazione cardiopolmonare; il tecnico allerta il medico rianimatore; l’infermiera misura la pressione. Non c’è polso, la pressione non è misurabile, la paziente giace esanime sul lettino: si continua la rianimarla lo stesso, cocciutamente, fino all’arrivo dei rinforzi. Finalmente accorre il rianimatore, prende in mano la situazione e dopo un quarto d’ora di sacramentazioni riesce a tirare in qua la paziente. La quale viene ricoverata in medicina d’urgenza, non ha complicazioni di nessun genere e due ore dopo è persino in grado di riconoscere il radiologo che le ha praticato la biopsia: dice di ricordare tutto fino al momento in cui ha tossito qualche goccia di sangue, poi più nulla.
Quella che vi ho raccontato è una delle classiche situazioni che sbugiardano chi novella del radiologo come di un automa collegato da cavi ritorti alla scrivania e allo schermo del suo computer, ed è anche una delle classiche situazioni in cui il radiologo per lo scago perde sei mesi di vita e fa i capelli bianchi. Ma è anche una situazione paradigmatica del mestiere del medico in generale: la medicina non è una scienza esatta, checché ne dicano riviste cartacee e programmi televisivi ispirati ad ameni concetti di salute-a-ogni-costo, l’incidente è sempre in agguato dietro l’angolo, e l’unica è tenere la guardia alta perché non si sa mai come va a finire. Quindi studiare, aggiornarsi, allenare il sangue freddo, parlare con i pazienti.
E, incredibile a dirsi, è anche una di quelle situazioni che al medico fanno cascare la catena: i parenti della signora, piuttosto angustiati dall’esito della procedura (ma diciamo che erano abbastanza aggressivi anche prima che la medesima fosse espletata), minacciano ritorsioni legali. Motivazione del delirio: nel consenso informato preliminare, dato dal medico di reparto, si era parlato di agoaspirato (FNAB) e non di biopsia con ago tranciante (core needle biopsy). Adesso vai tu a spiegare che un povero internista cosa vuoi che ne sappia, delle differenze tecniche tra un ago aspirato e un’altro tipo di biopsia. E vai anche a spiegare che nessun anatomo-patologo, almeno dalle mie parti, vuole avere niente a che fare con un agoaspirato: o il radiologo gli invia una bistecca con l’osso o la risposta è sempre la stessa: materiale inadeguato (non starò a scendere nei particolari tecnici, ossia sul perché gli anatomo-patologi vogliano a tutti i costi un frustolo di tessuto: è irrilevante ai fini della domandona finale che vi proporrò).
Difficile anche far credere a chi ti contesta che sono ormai anni che noi radiologi ci troviamo costretti a tranciare anche noduli di un centimetro di diametro, e che non si è mai verificata nessuna complicanza maggiore: chi ti crede?
Per cui, eccoci alla domandona finale. Considerato che:
– la biopsia polmonare è una procedura rischiosa, difficile da eseguire, dall’incerto risultato e con possibili complicazioni (anche gravi, come dimostra il post di oggi);
– non esiste differenza di retribuzione o di altra natura, formale e sostanziale, tra chi la pratica e chi se ne sta al sicuro, nella penombra della sua sezione, a refertare toraci e ossa o a fare ecografie;
– ormai è anacronistico parlare non dico di gratitudine, ma almeno di rispetto professionale da parte di pazienti e familiari per chi si prende la briga e la responsabilità di piantare aghi di venti centimetri nel torace della gente,sfiorando cuore, vasi sanguigni e ogni genere di delicata frattaglia interna.
Considerando tutti questi punti: secondo voi, ma chi cacchio chi glielo fa fare al radiologo? Perché mai uno dovrebbe prendersi una responsabilità del genere? Non è forse meglio tornare a qualche anno fa, quando queste procedure nonesistevano e i pazienti finivano aperti sotto i ferri anche per i noduli benigni?
PS Io la mia risposta ce l’ho, e chi mi conosce sa qual’è. Ma la domandona, nell’etere, la voglio lanciare lo stesso. Hai visto mai.