Dopo l’ennesima intervista, questa volta a La Stampa, ho deciso di chiamarla così questa pervicace presenza pubblica del politico in questione: Veltronesimo, e non Veltronismo.
Perché parlare di Veltronismo implica aderenza a una corrente politica, a principi etici, logiche politiche, scelte di campo: tutta roba con cui personalmente non ho più nulla a che vedere. Il Veltronesimo è invece altro: un atto di fede nel personaggio politico, che è ancora altra cosa rispetto all’uomo, e nella religione politica che egli sottende. Si può essere veltroniani senza (più) essere veltronisti, insomma: è come andare in chiesa la domenica senza credere in Dio. Ti rompi le palle per mezz’ora ma, a conti fatti, per qualcuno deve valerne ancora la pena.
Mio padre, che è sempre stato (ed è ancora) un uomo molto duro, mi ha insegnato, pur senza teorizzarla mai a parole, una lezione di vita sostanziale. Nella vita puoi avere un’idea, giusta o sbagliata che sia. Puoi trovare qualcuno che la condivide, e che ti segue nel tuo tentativo di metterla in atto. Ma quando i fatti ti mettono di fronte al fallimento dell’idea, anche se tu hai provato in tutti i modi a rintuzzare il fallimento e/o ad argomentare una credibile giustificazione, non puoi fuggire o nasconderti. Devi ammetterlo, il fallimento, anche a costo di diventare spietato con te stesso. E trarne le dovute conseguenze: se il condottiero perde la battaglia finale, e quindi la guerra, deve assumersene la responsabilità e ritirarsi. Ha avuto la sua occasione, se l’è giocata come ha potuto o voluto, e l’ha sprecata. Oppure il suo avversario lo ha surclassato con una tattica superiore, che poi è lo stesso.
Ecco, l’Italia ai tempi della crisi è governata non più dagli -ismi ma è preda degli -esimi. Siccome Dio è morto e non c’è più nulla in cui valga la pena credere, ci rifugiamo negli uomini: e gli uomini falliscono, perché è nella loro natura essere fallibili. Il guaio è che in questa Italia non è più sufficiente il fallimento, a permettere il cambio della guardia. Non sono più sufficienti la confusione, lo sputtanamento, l’incoerenza, la precarietà, l’incompetenza, nemmeno l’età anagrafica. Siamo talmente alla mercé degli -esimi che se un condottiero dovesse cadere si trascinerebbe dietro tutto l’esercito: e quindi il condottiero moribondo viene tenuto in vita artificialmente.
Che gloria, invece, nei campi di battaglia di una volta. Nell’Iliade si narra di eroici combattenti che difendevano la propria famiglia, la propria città e il loro status di uomini liberi. E in quelle battaglie si combatteva fino all’ultimo uomo anche se il condottiero, che spesso era in prima fila con i soldatini, finiva ammazzato prima del tempo.
E’ che i troiani credevano in Troia, più che in Ettore. Senza contare che Ettore era anche una persona perbene.