Vivrò, vivrò aspettandoti qui finché l’amore avrà gli occhi che hai tu

di | 22 Ottobre 2018

Per ognuno di noi c’è un problema più a monte degli altri: che si tratti di amore, amicizia, lavoro, persino di tempo libero, il guaio è che ognuno di noi è convinto di avere a disposizione tutto il tempo che occorre.

Invece non è così. Guardate con attenzione il sottoscritto: cinquanta anni quasi suonati, di cui gli ultimi venticinque passati a imparare un mestiere e poi a praticarlo ogni santo giorno. Un mestiere infame, come infami d’altronde sono tutti i mestieri, che ti succhia via la vita dalle vene e ti lascia ogni sera sempre più inebetito, privato della più elementare voglia di stare al mondo, uscire di casa, vedere qualcuno. Ogni giorno una battaglia, una gara folle a chi mette la toppa meno peggiore su un buco quotidiano che cresce a dismisura mentre intorno tutti cercano di scaricare il barile sulle spalle di qualcun altro. Un mondo difficile in cui finché non crei problemi a nessuno, o riesci a evitare che i problemi raggiungano il livello essenziale di visibilità, sei un fenomeno; ma nel quale passare da fenomeno a coglione, al primo ostacolo serio, è questione di un attimo.

Il guaio è che il tempo, per tutti, sta lentamente scadendo. Sta scadendo per me, perché nella migliore delle ipotesi due terzi della vita sono andati, fumati, perduti per sempre; e sull’altro terzo, ammesso e non concesso che di un terzo intero di tratti, nessuno può garantire la stessa qualità dei primi due. Noi medici lo vediamo ogni giorno: pazienti giovani, persone che hanno la nostra stessa età, che arrivano in reparto con un mal di pancia che non passa. Qualcuno li ha visitati e non ha trovato nulla. Qualcun altro, e non sempre si tratta di un radiologo, gli ha fatto un’ecografia: e due volte su tre non ha trovato nulla. Quando transita sul lettino della nostra Tac, mentre noi a denti stretti bestemmiamo gli antenati dei colleghi incompetenti che lo mandano a prendersi una botta di raggi senza un apparente valido motivo clinico, si compie il suo destino: il mal di pancia è nient’altro che un cancro del pancreas. Grosso, cattivo, un tumore brutto che ha già infiltrato arterie e vene e dato un’infinità di metastasi al fegato. Guardi in faccia quella persona, ancora ignara di avere poco più di sei mesi di vita davanti, e ti viene da piangere. Avrà figli adolescenti? Una moglie devota? Un’amante silenziosa che sarà la prima ad avere la ferale notizia? Genitori molto anziani a cui badare, e che piangeranno la sua scomparsa come se il figlio gli fosse morto da bambino?

E quand’è che toccherà a te, invece? Come, con che modalità? Sarà in breve tempo, perché magari un male cattivo senza che tu lo sappia ti sta già divorando da dentro come una bestia cattiva, o farai in tempo a vedere i ghiacci dei poli scongelati e a bruciare vivo come in un armageddon cinematografico hollywoodiano?

Tutti validi motivi, in definitiva, per decidere che è ora di rallentare. Smettere di correre. Finirla con questa follia dell’affannarsi. Dedicare qualche secondo in più a se stessi e alle persone, che serva o meno a qualcosa: non sta scritto da nessuna parte che occorra sempre perseguire uno scopo e far fruttare i maledetti talenti, ammesso poi che uno ne abbia qualcuno a disposizione.

E magari, in tutto il silenzio che ne scaturirà, un silenzio così profondo da far paura, specie all’inizio, potrebbe nascondersi il vero senso della vita. Ammesso che un senso, di qualunque tipo, esista per davvero: nella peggiore delle ipotesi ci saremmo riappropriati del vento che soffia, del ticchettio delle lancette di un orologio, del silenzio stesso.

E non ci sarebbe andata male, in ogni caso.


La canzone della clip è “Nemmeno un momento”, di Nino Buonocore, tratto dall’album “Alti e bassi” del 2006. Continuo insomma la battaglia solitaria, perduta in partenza, di ricordare a tutti che in Italia ci sono stati e ancora ci sono musicisti straordinari ma trascurati: lui è uno di questi. Detto tra noi: fossi uno dei cantanti miracolati di “Amici”, e ascoltassi per intero  “La naturale incertezza del vivere” (album del 1992), qualche domanda me la porrei.

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