Il secondo anno di università andai a stare in una casa nuova: un appartamento vero, al posto del monolocale vissuto in due del primo, lunghissimo anno. Un pomeriggio, mettendo a posto le mie cose nel vecchio armadio, in fondo a un cassetto trovai un foglio di carta ben ripiegato sul quale erano scritti, in ottima calligrafia, versi molto belli.
Voi non lo sapete ma il vostro blogger preferito, tra le altre cose, è anche un pessimo musicista e autore di parecchie canzoni: presi in mano la mia chitarra e misi una musica su quelle parole, che per qualche sconosciuto motivo si prestavano particolarmente bene alla bisogna. Ogni tanto la cantavo e la cantavo a un piccolo pubblico di sprovveduti come me, persone che non avevano mai sentito per intero l’album La mia banda suona il rock di Ivano Fossati. Si, perché il testo che avevo trovato era il suo: solo che io quella canzone, all’epoca, non la conoscevo. Smisi di suonarla e cantarla, e mi vergognai alquanto perché ovviamente la musica originale era molto più bella della mia. Mi dispiacque un po’, devo ammettere, perché su quel foglietto ripiegato avevo fantasticato assai: una storia finita male di qualcuno che in quell’appartamento aveva abitato prima di me, per esempio. Una poesia bellissima e dedicata a una donna affascinante come la studente di matematica che abitava nell’appartamento del piano di sopra, per esempio. E invece era tutto così dannatamente semplice, e banale.
Il che mi riporta a Piero, barbiere di 86 anni che si ostinava a esercitare nonostante l’età avanzata e la schiena curva: usava le forbici, Piero, e il rasoio non elettrico ma a mano, come i suoi colleghi del dopoguerra. Sempre impeccabile, Piero, con i baffetti ben curati e la divisa immacolata e la schiena appena appena curva sotto il peso del tempo. Parlava poco, durante il lavoro, e in genere solo se interpellato. Una volta gli chiesi quanti anni avesse e poi, saputa la risposta, non potetti esimermi dal fargli i complimenti per il modo straordinario in cui se li portava. Piero scosse le spalle e si limitò a dire, asciutto: Dottore, non è merito mio. E’ solo questione di culo.
Lo cantava anche Pino Daniele: ‘A vita è sulo culo rutto e niente ‘cchiù. Io spero ancora che ci sia spazio per l’iniziativa personale, ma più passa il tempo e più mi convinco che Piero il barbiere, e tutti gli altri, abbiano ragione. Da vendere.